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La Croce e l'iconografia del Crocifisso

La Croce e l'iconografia del Crocifisso

MARIA TERESA VALERI - © tutti i diritti riservati

excursus dalle origini al simulacro ligneo venerato nella chiesa di S. Agata a Ferentino

Il tema della Croce è di fondamentale importanza per la fede cristiana, poiché nella Croce di Cristo è la testimonianza concreta e storica dell’avverarsi dell’antica promessa divina di riscatto dalla morte; è il punto di contatto tra il Divino e l’Umano, tra la sofferenza e la gloria; è la manifestazione infinita e compiuta dell’Amore di Dio per l’uomo e per il creato.

Tuttavia il soggetto della Crocifissione appare codificato tardi nell’iconografia cristiana.
graffito-anticristianoIl fatto che Cristo era stato condannato alla morte di croce, condanna capitale per gli schiavi, i grandi delinquenti, i sobillatori di sommosse e per i disertori, costituiva onta per i non cristiani, come è dimostrato dal graffito anticristiano del III secolo scoperto nel 1856 su un muro del Pedagogium della Domus Augustana sul Palatino, raffigurante un uomo inginocchiato di fronte ad un uomo crocifisso dalla testa d’asino, accompagnato dalla scritta in greco “Alexamenos adora il (suo) Dio”, che denigrava lo schiavo imperiale di nome Alexamenos, divenuto cristiano. 

Nelle più antiche raffigurazioni dell’arte paleocristiana, infatti, vengono rappresentati con chiaro significato soteriologico i simboli della Croce (l’ancora, la svastica, l’Agnello crucifero, il monogramma cristologico composto dalle prime due lettere del nome greco di Cristo X e P), affiancati dalle lettere apocalittiche alfa (?) e omega (O), ma senza l’immagine di Gesù crocifisso.

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I simboli riuscivano a comunicare ai fedeli il messaggio della redenzione senza scatenare la derisione dei non cristiani, scettici di fronte allo “scandalo” di un Dio condannato alla crocifissione, supplizio tra i più infamanti secondo la cultura diffusa nel mondo antico.
  Il Signum Crucis, segno dell’amore di Dio per l’uomo e garanzia di salvezza, acquistò subito valore rituale di efficacia sacramentale (Agostino) e di appartenenza al cristianesimo (si diventa cristiani da quando si viene segnati sulla fronte) e dai cristiani cominciò ad essere compiuto con fede prima di ogni azione.

cristo-maestroL’inventio Crucis ad opera di S. Elena (325) diede sviluppo alla concezione della crux invicta, simbolo della vittoria sulla morte, rapportata non più al crocifisso ma alla venuta gloriosa del Signore. Esemplari sono le raffigurazioni della croce gemmata, simbolo della regalità di Cristo Signore dell’universo e della storia, raffigurata nel mosaico del catino absidale della chiesa di S. Pudenziana a Roma (inizi sec. V) e nel mosaico dell’arco trionfale della basilica di S. Maria Maggiore a Roma (prima metà del sec. V).
L’iconografia del mosaico di S. Pudenziana riproduce sinteticamente la basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme e raffigura anche la monumentale croce gemmata che Teodosio II donò nel 420 alla Basilica dell’Anàstasis, perché fosse eretta sulla cima del Calvario, luogo della morte di Gesù, ma anche luogo prossimo al Sepolcro ormai vuoto a causa della resurrezione di Cristo. 

 Nel mosaico della Basilica Liberiana la croce gemmata è raffigurata sulla sommità dell’arco trionfale, sopra l’iscrizione XYSTVS EPISCOPVS PLEBI DEI (Sisto vescovo del popolo di Dio) e nell’iconografia propria dell’Etimasia (“apprestamento del trono”), metafora della presenza invisibile di Gesù sulla terra in attesa del Giudizio.
cattedra-simbolicaAnaloga raffigurazione iconografica della croce gemmata sulla cattedra simbolica dell’Etimasia sicattedra-particolare riscontra nel mosaico del Battistero ravennate degli ariani (inizi sec. VI): anche a Ravenna come nella basilica Liberiana la Cattedra simbolica è fiancheggiata dai principi degli Apostoli Pietro e Paolo.
 

 Che la crocifissione sia strettamente collegata alla vittoria sulla morte lo conferma anche la Croce d’oro (secc. V-VI) proveniente da Cesarea Marittima e conservata nella Raccolta archeologica e numismatica del Museo del Comune di Milano.


croce-da-cesareaSu di essa sono impresse le parole greche phos e zoé, “luce” e “vita”, che si incrociano tra loro, incise lungo gli assi della croce stessa e con l’omega centrale.
La croce non è intesa in senso di condanna e di supplizio, ma in senso di vita, perché è il simbolo del Signore Gesù.
Anche nelle omelie pasquali predicate negli ambienti cristiani dell’Asia Minore l’encomio della Croce era encomio della Pasqua intesa come passaggio dalla schiavitù della morte alla libertà della vita senza fine nella luce gloriosa del paradiso.
 
 Le prime raffigurazioni di Gesù crocifisso risalgono al sec. V (Roma - Pannello del portale ligneo dellacrocifissione-in-santa-sabina basilica di S. Sabina, prima metà del V sec.; Londra - Avorio conservato nel British Museum con ciclo della Passione, prima metà del V sec.), dopo il riconoscimento ufficiale del cristianesimo e soprattutto dopo l’abolizione della crocifissione quale pena di morte (l’Editto di Costantinopoli del 392, emanato da Teodosio I il Grande). 
 pannello-con-ciclo-passioneNelle miniature la Crocifissione è rappresentata con il Cristo vivente o triumphans, cioè “trionfante sulla morte”.
La miniatura del Codice siriaco di Rabula, risalente al 586 e conservato a Firenze nella Biblioteca Laurenziana (Laur. Plut. 1.56, c. 13r.), documenta la fede cristiana nella croce come segno di gloria, di vittoria sulla morte.

Nel dipinto Gesù ha il volto circondato dal nimbo, gli occhi aperti, è barbato e vestito di tunica lunga senza maniche, il colobium, cioè la veste sacerdotale.
crocifissione-anastasisIl Cristo, confitto alla croce con quattro chiodi (soltanto più tardi si preferirà la soluzione più drammatica dell’unico chiodo per entrambi i piedi), mostra una sofferenza composta: è in posizione eretta con le braccia allargate in posizione orante e accanto a lui appaiono i ladroni, i soldati che giocano a dadi, Maria, Giovanni evangelista e le pie donne. Nella parte inferiore della miniatura vengono rappresentati gli avvenimenti successivi alla Resurrezione: a sinistra l’angelo che annuncia alle pie donne e a destra Gesù che appare a due donne nell’orto: “Il che significa che nell’intenzione dell’autore, il momento della crocifissione non può essere affatto scisso dalla Resurrezione. Ma non può un Cristo, unico sacerdote-mediatore presso Dio, essere rappresentato nella sua divinità attraverso la vittoria sulla morte?” (da: BORIS ULIANICH, Per un tentativo di lettura della mostra, in La Croce dalle origini agli inizi del secolo XVI, Napoli Electa 2000, pp. 19-20).

 Il valore salvifico della croce è chiaro anche nel mosaico (sec. V) della cupola del Battistero di S. Giovanni in fonte del Duomo di Napoli. Nella raffigurazione il Chrismon (monogramma di Cristo) si staglia su uno sfondo blu oltremare stellato ed è affiancato dalle lettere apocalittiche, ad ulteriore conferma che in Cristo si riassume tutto il creato.

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Sulla sommità del Cristogramma è raffigurata la mano simbolica di Dio che regge una corona gemmata: la corona, ripresa dal mondo sportivo antico e dal linguaggio paolino, celebra la gloria universale ed eterna del Signore Gesù e la sua regalità divina. Il monogramma, inoltre, è circondato da un’ampia fascia circolare nella quale è raffigurato un giardino con i simboli dell’abbondanza paradisiaca (piante e frutti) e con i simboli della risurrezione, i pavoni e la fenice, quest’ultima riprodotta sulla mano simbolica di Dio a sottolineare la Gloria del Risorto, che prefigura la gloria di ogni battezzato.  
 
abside-santa-apollinareIl mosaico del catino absidale della basilica di S. Apollinare in Classe (Ravenna, secolo VI) raffigura simbolicamente la Trasfigurazione di Cristo sul Tabor (Lc 9, 28-36) e il vescovo S. Apollinare orante. La scena evangelica, in cui Dio rivela la gloria del Figlio, è ambientata in un giardino alberato, che si sviluppa in profondità secondo le regole della prospettiva inversa, caratterizzata da figure in primo piano più piccole, mentre quelle situate nei piani spaziali successivi hanno dimensioni progressivamente più grandi. La prospettiva inversa, diffusa nell’arte bizantina e in particolare nelle icone orientali, viene adottata nel mosaico della chiesa di S. Apollinare in Classe per garantire il criterio gerarchico nella rappresentazione dell’episodio della storia sacra da raffigurare nella parte superiore del catino, superficie più adatta a contenere le immagini dei personaggi più importanti e prossimi alla dimensione celeste, ma anche perché il fedele spettatore dell’evento sacro diviene il punto di fuga verso cui convergono le immagini raffigurate, consolidando la certezza di fede nella prossimità di Dio all’umanità sofferente. 
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 In primo piano il santo vescovo Apollinare è al centro del mosaico, fiancheggiato da dodici agnelli, simbolo del collegio apostolico, disposti simmetricamente ai suoi lati. Dietro gli agnelli, gli alberi del giardino sono allineati su due file in modo ordinato e simmetrico; nella seconda fila di alberi sono raffigurati tre agnelli, simboli degli apostoli Pietro, a sinistra di chi guarda, e Giovanni e Giacomo a destra. Le teste dei tre agnelli sono rivolte verso la sommità del catino, nel cui centro è rappresentato un grande disco che si staglia sullo sfondo di un cielo dorato e che contiene la raffigurazione simbolica di Gesù trasfigurato. Il disco è fiancheggiato dai busti naturalistici dei profeti Mosé ed Elia, sospesi tra nubi luminose e variopinte. Sulla sommità del mosaico e in asse con il grandioso disco sottostante, spunta tra le nuvole la simbolica mano di Dio, a significare la presenza del Dio Padre, che nel Figlio suo eletto (Isaia 42; 49,7) designa colui che salverà definitivamente l’umanità.  
 Il disco è circondato da una cornice decorata da gemme incastonate. All’interno, una grande croce gemmata, fiancheggiata dalle lettere apocalittiche alfa e omega, splende sul cielo azzurro stellato; all’incrocio degli assi della croce è riprodotto un piccolo clipeo con il volto di Cristo maestro (Gesù barbato). Due iscrizioni in caratteri d’oro completano l’iconografia della Trasfigurazione di Gesù: sopra l’asse verticale della croce l’acrostico greco ????C presenta Gesù, Figlio di Dio, Salvatore degli uomini; sottostante la croce è collocata la scritta latina “SALVS MVNDI” (Salvezza del mondo). Le iscrizioni insieme all’iconografia absidale ricordano ai credenti la potenza soteriologica della croce e della fede, testimoniata dagli apostoli e dal martire vescovo Apollinare: la croce, altare di Cristo, è il Cristo stesso, re e redentore dell’universo.

crocifissione-s-maria-antiquaNella chiesa romana di S. Maria Antiqua, cappella dei SS. Quirico e Giuditta, è affrescata una Crocifissione (741-752) con il Cristo triumphans vestito di colobium senza maniche nella medesima iconografia della miniatura del codice di Rabula, ma con influenze del cristianesimo orientale. I simboli del sole e della luna, desunti dall’iconografia non cristiana, sono disposti simmetricamente ai lati del capo del Crocifisso a garantire il valore perenne e cosmico del sacrificio della Croce.
 I simboli astrali del sole e della luna sono presenti già nei bassorilievi delle ampolle di ampollabronzo con la raffigurazione dell’Anástasis e della Crocifissione, conservate nel Museo del Duomo di Monza (sec. VI): oggetti-ricordo, contenenti l’olio santo delle lampade ardenti presso il S. Sepolcro e la roccia del Calvario, che a Gerusalemme venivano distribuiti ai pellegrini.
 
 Nell’arte carolingia (sec. IX), dove più evidenti sono i richiami stilistici al mondo ellenistico-romano, il Cristo crocifisso viene rappresentato imberbe e nelle raffigurazioni di epoca ottoniana (sec. X) al colobium viene sostituito il perizoma.  
 
 La croce come simbolo e mezzo per raggiungere la vita eterna è raffigurata nell’iconografia dell’Albero della Vita. L’albero del paradiso terrestre, simbolo messianico nel giudaismo, per i cristiani divenne prefigurazione della croce. Ignazio di Antiochia parla dei rami della Croce i cui frutti sono incorruttibili. Nel testo siriano intitolato la “Caverna dei Tesori” (apocrifo giudeo-cristiano, I-II sec. d. C.), si dice che Adamo dopo la sua creazione pose il piede nel luogo dell’Albero della Vita, al centro della Terra, dove sarebbe stato sepolto e dove la croce sarebbe stata elevata.
atrio-abbazia-pomposaEsempio interessante di Croce-Albero della Vita è il rilievo in pietra con la croce (sec. XI), murato sul lato ovest dell’atrio dell’Abbazia di Pomposa (1026), opera del magister Mazulo.

Gli assi della croce sono ornati con un bassorilievo a intarsio raffigurante sinuosi tralci vegetali, abitati da uccelli, chiaro riferimento al paradiso e alla vita eterna.
All’incrocio degli assi i tralci sono disposti a formare un cerchio, entro il quale è la mano destra di Dio è raffigurata con le dita pollice, indice e medio  in estensione, ad indicare il mistero trinitario; l’indice e il medio sonno uniti, probabilmente ad indicare l’unione ipostatica delle due nature, divina e umana, del Verbo incarnato.


Anche nel mosaico absidale della Basilica di S. Clemente in Laterano a Roma, realizzato nel 1128
recuperando l’iconografia dell’abside della precedente basilica paleocristiana, si ritrova il tema della Albero della Vita-Croce-Cristo.
interno-basilica-s-clementeIl Cristo morto è inchiodato alla grande croce che sorge su un verdeggiante e rigoglioso cespo di acanto, che è alimentato dall’acqua dei sottostanti quattro fiumi paradisiaci che irrorano la terra: alle acque dei quattro fiumi si dissetano due cerve affiancate da due pavoni, simbolo, questi ultimi, dell’eternità beata a cui sono destinati i risorti nel segno della croce di Cristo redentore. Gli eleganti girali di acanto, di ellenistica memoria, si dipanano ordinatamente sullo sfondo dorato della superficie del catino absidale, accogliendo uccelli, animali domestici, uomini e donne intenti ai lavori quotidiani, rappresentazione dei frutti fecondi della Provvidenza divina. Sugli assi della croce sono disposte dodici colombe bianche che rappresentano il collegio apostolico, accomunato al Cristo nella condivisione della croce. Sopra la croce la mano di Dio regge una corona per celebrare la gloria del Crocifisso, riflessa nell’armonia e bellezza della natura, riordinata dalla redenzione compiuta.

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altare-san-pancrazio-ferentinoL’altare marmoreo della chiesa ferentinate di S. Pancrazio è costituito da pannelli decorati con bassorilievi di stile cistercense, appartenuti ad un precedente altare, databile alla prima metà del Duecento.
Un pannello,  forse centrale nell’altare originale, ha al centro in rilievo la figura di una croce astile, i cui assi hanno la superficie suddivisa da tre rilievi tubolari, che suggeriscono il rimando al mistero trinitario.particolare-altare Il piccolo clipeo, scolpito all’incrocio dei bracci della croce, reca inscritta la figura dell’agnello stauroforo (che porta la croce); la sommità della croce astile è ornata con un rilievo in foggia fitomorfa (vegetale), con chiara allusione all’Albero della vita.
Tuttavia, a ben vedere, può sembrare anche acqua zampillante dalla croce stessa: allusione, in tal caso, a Cristo fonte di acqua viva.

 La croce come segno di vittoria e come vessillo di Cristo è implicita nell’iconografia dell’Agnello crocifero. Lo si constata anche nel bassorilievo della formella marmorea  con l’Agnus Dei crocifero (inizi sec. XIV), situata al centro tra le formelle raffiguranti i simboli degli Evangelisti che ornano l’attico del protiro della chiesa ferentinate di S. Maria Maggiore.
È importante notare come sulla porta di ingresso principale delle chiese medievali è spesso presente l’Agnello crocifero in posizione gerarchica tra le quattro formelle dei redattori del Vangelo. Per i credenti che si apprestavano ad entrare in chiesa era chiaro il messaggio di fede nella potenza di Cristo: l’Agnello portatore di croce è il Signore Gesù, l’Emmanuele, la Via, la Verità, la Parola di vita eterna, maestro, sacerdote e vittima, il fondamento della Chiesa.

volto-santo-luccaIl Volto Santo di Lucca (secc. XI-XII in., crocifisso in legno policromo, cm 278 x 245 ca. - Lucca, Duomo) propone al fedele la riflessione sulla misericordia divina.  Nel corso dei secoli moltissimi sono stati i pellegrini e i devoti del Volto Santo di Lucca, venerato nel medioevo come immagine vera del Figlio di Dio. “… se Caterina da Siena in una lettera esortava la dama lucchese Mellina Balbani, scrivendole andatevene a quella dolcissima e venerabile Croce, spesso il Volto Santo fu salutato con il titolo di Rex tremendae majestatis.
Infatti il volto scuro del Crocifisso, dai grandi occhi rivolti verso il basso, dalla bocca serrata con il labbro superiore nascosto dai folti baffi, può incutere un senso di inquietudine e di “terrore” per quell’apparente distacco ieratico suggerito dalla sua forma stabile e solenne. In realtà nel Volto Santo di Lucca il Cristo, appeso alla croce e vivente, si allontana dalla iconografia del Christus Triumphans, raffigurato impassibile, con lo sguardo rivolto in avanti, senza tradire i segni della passione. Nella Croce lucchese il Volto di Cristo appare più espressivo, costruito come “luogo” di comunicazione e di conoscenza, di intima relazione con l’osservatore: l’inclinazione del capo in avanti quasi suggerisce del Cristo la volontà di scendere dalla croce, di farsi prossimo ad ogni uomo, di cui incontra l’afflizione.
 L’espressione enigmatica degli occhi semiaperti, che guardano verso il basso, manifesta la composta sofferenza del Cristo, segno della sua condivisione del dolore umano.
volto-santo-particolareQuello sguardo penetrante sollecita la riflessione personale dell’osservatore, che, coinvolto in un dialogo interiore, viene invitato a “vedere” e a scoprire in quel volto le risposte alle proprie domande esistenziali. La “terribilità” del Volto Santo, in fondo, sta proprio nella capacità che l’immagine ha di rendere l’uomo testimone dell’incomprensibile, ponendolo di fronte alla verità della sofferenza, alla consapevolezza che il senso della sua vita è nel riconoscimento dell’Altro. Il volto attonito e dolente di Gesù in croce, povero e debole mendicante d’amore, lancia un richiamo alla coscienza dell’uomo, invitandolo alla metánoia: abbandonare gli pseudo-valori del possesso e del dominio, per praticare la misericordia, costruire la pace, perseguire la verità e la giustizia” (da: M.T. VALERI, Lucca: città del Volto Santo, in Piccolo viaggio al centro della Toscana. Da Montecatini per luoghi d’incanto, tra arte, storia, architettura, paesaggio e tradizioni popolari, a cura di R. GIOVANNELLI, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, Calenzano 2004, p. 279).

 Nel sec. XI comincia ad affermarsi la rappresentazione del Cristo morto, probabilmente anche per influsso della teologia orientale, che voleva rimuovere ogni residuo dell’eresia monofisita e sottolineare la natura umana di Cristo. Nell’XI sec., liberata dall’occupazione musulmana la basilica gerosolimitana del Santo Sepolcro, durante i lavori di restauro dell’edificio costantiniano fu individuata una cisterna sottostante il Martyrium. La cisterna fu riconosciuta quale il luogo dell’Invenzione della Croce di Gesù, che secondo la tradizione era avvenuta all’epoca dei lavori edilizi costantiniani per merito di S. Elena, madre dell’imperatore Costantino.
 
 I Crociati e soprattutto i Francescani, impegnati per conto della Sede apostolica romana nella tutela del S. Sepolcro, contribuirono a promuovere ulteriormente in Italia e in tutta Europa il culto dell’Esaltazione della Croce, celebrato nel giorno 14 settembre.
crocifisso-san-damianoLa devozione alla Croce è parte fondamentale della spiritualità di S. Francesco, il quale ricevette dal Crocifisso di S. Damiano l’invito a “riparare” la Chiesa (1206) e sul monte della Verna (1224) ebbe impressi nella sua carne i segni stessi della crocifissione di Gesù.
Si deve alla predicazione francescana l’intensificarsi del culto della Via Crucis e soprattutto la più cospicua produzione delle Croci dipinte, da condurre in processione o da esporre presso gli altari alla pubblica devozione nelle adunanze liturgiche, quali monumentali oggetti di culto.
Nel sec. XIII, infatti, erano già ampiamente diffuse nell’Italia centrale le due tipologie iconografiche della Croce monumentale dipinta: quella del Cristo triumphans e quella del Christus patiens (Cristo morto).
 Nel primo caso il Cristo vivo, trionfante sulla morte, è affiancato dalla raffigurazione didascalica degli episodi della Passione. Nella Croce dipinta, risalente al 1200 ca. e conservata a  Pisa nel Museo Nazionale e Civico di S. Matteo, tra gli episodi di passione raffigurati c’è anche la crocifissione, raccontata con le figure dei soldati, che offrono a Gesù la spugna bagnata con l’aceto, e l’immagine di Longino che trafigge il costato del Crocifisso. Non si tratta di una superflua ripetizione della crocifissione: se la vignetta racconta l’atroce morte di Gesù avvenuta sulla croce, il monumentale Cristo raffigurato vivente celebra la redenzione compiuta con la resurrezione (esempi di croci dipinte con l’iconografia del Cristo trionfante: il Crocifisso di S. Damiano che parlò a S. Francesco nel 1206; il Crocifisso del Monastero di S. Andrea al colle di Arpino, sec. XIII, tempera d’uovo su tavola).     
 Il Christus patiens è un soggetto di ispirazione bizantina, in cui si sottolinea l’aspetto umano del Cristo, che con la testa reclinata sulla spalla, con gli occhi chiusi e con il corpo inarcato esprime il senso del dolore, reso ancor più drammatico dall’isolamento della figura del Crocifisso, non più circondato dalle scene evangeliche della Passione [cfr.: il Crocifisso raffigurato nel Mosaico absidale della Basilica di S. Clemente in Laterano a Roma , 1128; le Croci dipinte su tavola da Cimabue raffiguranti il Christus patiens: quella della Chiesa di S. Domenico di Arezzo (1270) e quella della Chiesa  fiorentina di Santa Croce (1287-88 ca.).

Nell’età umanistico-rinascimentale alla tavola lignea dipinta si sostituì il  Crocifisso scolpito in legno, in cui la versione ieratica stilizzata del Christus triumphans e quella espressionisticamente deformata del Christus patiens si ricompongono nell’austera bellezza e armonia delle forme anatomiche classiche, nelle quali l’Uomo-Dio si manifesta quale perfetta natura creata, immagine fisica della “Divina Proporzione” dell’Universo (cfr.: Il Crocifisso di Filippo Brunelleschi, 1420-1425 ca., legno, cm 175 x 175 - Firenze, Chiesa di S. Maria Novella; il Crocifisso di Donatello, 1425 ca., legno policromo, cm 168 x 173 - Firenze, Chiesa di S. Croce; e di Masaccio la Crocifissione con la Madonna, S. Giovanni e la Maddalena, dal polittico già nella chiesa del Carmine di Pisa, 1426, tempera su tavola, cm 83 x 63 - Napoli, Gallerie Nazionali di Capodimonte).
 
 Verso la fine del Cinquecento e nel Seicento, quando le certezze razionali del primo Umanesimo ormai vacillavano, la Riforma protestante (1517) aveva sottratto molti fedeli all’autorità religiosa della tradizione apostolica romana, la scienza con Galilei imponeva una nuova visione del mondo fisico, le guerre e le pestilenze seminavano morte e lutti, anche la spiritualità religiosa cattolica avvertì i segni del cambiamento. Lutero aveva sconfessato l’uso cultuale delle immagini sacre, in quanto pagano ed idolatrino, e nella definizione dei principi dottrinali della Chiesa cattolica, operata dal Concilio di Trento (1545-1563), venne nuovamente posto in rilievo “il fine didattico-educativo dell’arte sacra figurativa per la vita cristiana”. Il decreto dell’ultima sessione del Concilio tridentino (sessione XXV del 3 dicembre 1563) difende la liceità delle immagini sacre. Da sempre, infatti, la Chiesa aveva considerato le immagini sacre come un efficace strumento didattico per insegnare i misteri della fede alla popolazione in massima parte analfabeta. Per rinforzare nei cattolici la consapevolezza della loro fede e per risvegliare la loro pietà religiosa, furono anche privilegiati i temi iconografici più adatti alla meditazione e alla penitenza, per esempio la passione di Cristo oppure i temi edificanti come le scene di martirio, le storie degli apostoli, le opere di misericordia, i sacramenti, le visioni estatiche dei Santi.
 La committenza religiosa cattolica per mezzo della produzione artistica volle affascinare e commuovere gli animi, stimolare sentimenti di pietà, educare alla devozione e alla condivisione collettiva della fede: perciò gli artisti comunicarono anche con un linguaggio drammatico e teatrale, atto sia a rendere verosimili le visioni meravigliose di gaudio paradisiaco sia a rappresentare realisticamente le storie di martirio dei testimoni della fede sia a svelare in modo struggente tutte le atroci sofferenze patite da Cristo sul Golgota.

 Ne è eccellente esempio il disegno del Crocifisso per Vittoria Colonna, 1540 ca., realizzato da Michelangiolo Buonarroti (Londra, British Museum), in cui è espressa mirabilmente la sofferenza del Cristo, vivo sulla croce e contorto dagli spasmi dell’agonia. Michelangiolo rappresenta del Crocifisso la sofferenza interiore: il corpo non è sfigurato dai supplizi della passione né sgorga il sangue dalle ferite dei chiodi, ma è atletico e robusto, rappresentato come quello di un titano in lotta contro le avverse forze del male.

Il Crocifisso ligneo che il cardinale Cesare Baronio nel 1564 donò alla chiesa di S. Bartolomeo apostolo di Sora, sua città natale, rappresenta un mirabile esempio di scultura lignea post-tridentina. Il 26 gennaio 1564 Pio IV aveva promulgato le costituzioni e i decreti tridentini con la bolla Benedictus Deus e proprio il 26 gennaio 1564 Cesare Baronio scrive in Roma la lettera con la quale informa lo zio Paolo che il Crocifisso, destinato alla cappella di famiglia nella chiesa di S. Bartolomeo, è pronto. La figura del Cristo crocifisso, caratterizzata dall’equilibrio compositivo e classica nelle sue forme anatomiche, si offre alla devozione dei fedeli come nobile paradigma della perfezione del mondo creato. I segni della passione, senza sconvolgere la sublime compostezza dell’Uomo-Dio, appaiono trasumanati nella resa evocativa di un silenzio carico di serena misericordia.

 In piena epoca della Riforma cattolica anche El Greco dipinge il Cristo crocifisso (ca. 1587-1596, olio su tela, cm 177 x 105 - Collezione Zuloaga,), valorizzandone l’emotività umana. La  figura di Gesù, inchiodato ma ancora vivente, è allungata e quasi bidimensionale, sottolineando lo stato di sofferenza spirituale più che fisica: poche gocce di sangue colano sul collo e presso i fori dei chiodi.
 
In età barocca il soggetto iconografico del Cristo morto sulla croce tornò ad essere particolarmente richiesto dalla committenza francescana, tanto che non pochi sono nell’Italia centro-meridionale i Crocifissi realizzati da frati scultori tra il Seicento e il Settecento. La devozione alla Croce è, infatti, parte fondamentale della spiritualità di S. Francesco, il quale ricevette dal Crocifisso di S. Damiano l’invito a “riparare” la Chiesa (1206) e sul monte della Verna (1224) ebbe impressi nella sua carne i segni stessi della crocifissione di Gesù.


Fra’ Vincenzo Pietrosanti da Bassiano, scultore francescano e autore del Crocifisso venerato nella chiesa ferentinate di S. Agata (1669 ca., legno policromo), è grande interprete della spiritualità passionale del Seicento. Il suo Crocifisso esprime in pienezza il palpito vitale dell’Amore divino, ma anche le angosce e le speranze dell’umanità sofferente. La preziosa scultura lignea si caratterizza per i forti accenti patetici espressi dalla resa veristica del torace; dai muscoli del ventre contratti verso la cassa toracica per dire la totale mancanza di respiro; dal corpo irrorato dal sangue delle numerose piaghe; dal notevole senso di caduta in basso, che la figura del Cristo pendente dalla croce trasmette grazie al ritmo spezzato del corpo.

cristo-crocifisso-castiglioneIl pacato senso di instabilità rende drammatica la figura del Crocifisso e favorisce nel fedele in preghiera la percezione della sua prossimità con il Verbo incarnato, che si è offerto totalmente per assumere e condividere le sofferenze dell’orante e dell’umanità intera.
 
L’abbondante e vistoso fiotto di sangue, che fuoriesce della ferita del costato, rende certi che dall’altare della croce il Signore Gesù proclama il suo Amore che redime e rinnova: il suo cuore trafitto è la sorgente inesauribile della misericordia divina e il suo sangue versato dalla ferita del costato è nutrimento eucaristico, Dono infinito di vita eterna (cfr. il dipinto di Giovanni Benedetto Castiglione, detto il  Grechetto, Cristo crocifisso abbraccia san Bernardo di Chiaravalle, 1645ca., olio su tela, cm 305 x 222. Genova-Sampierdarena, chiesa di Santa Maria della Cella).
 

         © Maria Teresa Valeri